11 settembre 2012

C'era una volta la stanza del terapeuta...



In tempi di evoluzione tecnologica così rapida, molte volte mi sono domandata quale fosse il futuro possibile della psicoterapia e delle stanze di terapia.

Sono passati tanti anni dai lettini analitici, romantici (almeno ai miei occhi) e polverosi dei grandi S. Freud e C. G. Jung. E di tutta quella sapiente austerità è rimasto ben poco. Com'era del resto inevitabile.

Se è chiaro che da allora ad ora, tutto è cambiato, meno chiaro è verso cosa va un senso condiviso e condivisibile del lavoro psicoterapico.

A tutta prima sembrerebbe che di psicologia e di aiuto psicologico abbiamo tutti bisogno. E perfino il mio parrucchiere (lo dico con grande simpatia!) sa moltissimo dei tipi psicologici che entrano nel suo negozio. Indubbiamente, una signora di mezz'età che vuole dei riflessi biondo cenere è molto differente da una ventenne che vuole un bel ciuffo blu cobalto proprio sull'orecchio sinistro (!)

Come tutte le professioni, il bisogno di rivedersi, di essere al passo coi tempi, di essere connessi è diventato un imperativo categorico. A rischio di qualunque rischio. Per il terapeuta, ma anche e soprattutto (mi verrebbe da dire) per il paziente, giustamente oggi più adeguatamente definito cliente.

Dunque nell'immenso mare della navigazione web, chiunque può titolarsi come profondo conoscitore della psiche e pontificare di qualsiasi cosa gli passi per la mente, allo scopo di captare personaggi più o meno ignari, cercatori di pepite di felicità a costo zero.
E così diventa quasi comprensibile che un sito qualsiasi, che s'intitoli con 'psico' come suffisso (psicocucina, psicoastri, psicomaghi, psicoparagnosti, psicoveggenti, psicovegani, psicofitness, psicociarlatani... etc.) abbia la meglio su noiosi e titolati professionisti della psiche, laureati, abilitati, masterizzati, specializzati... e pertanto meno attraenti di una notte insonne passata con Gigi Marzullo.

Resta a noi professionisti il compito di rendere ancora credibile una professione seria e faticosa, a discapito di facili chimere svolazzanti e senza credenziali. E ai clienti di porsi l'autentica domanda: cosa cerco da questo professionista? Cosa sono disposto a cambiare, a cedere, a rivedere di me stesso per stare meglio?
Insomma, il cambiamento è certamente possibile, ma non senza un po' di genuina messa in gioco. Diciamolo.

Approfondimenti.

Bianciardi M., Galvez Sanchez F., Psicoterapia come etica. Condizione post moderna e responsabilità clinica. Antigone Edizioni. Torino. 2012.

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