6 gennaio 2013

Lutto amoroso



Per quanto io lo rovini, il lutto dell'immagine (dell'amato) mi rende angosciato; ma dall'altro lato, per quanto io riesca a dargli buon esito, esso mi rende triste. Se l'esilio dell'Immaginario è la via obbligata per giungere alla "guarigione", allora bisogna convenire che il progresso è triste. Questa tristezza non è una malinconia - o è almeno una malinconia incompleta (niente affatto clinica), giacché non mi rimprovero niente e non sono prostrato. La mia tristezza appartiene a quella frangia della malinconia in cui la perdita dell'essere amato resta astratta. Qui, la perdita è doppia: non posso neppure investire la mia infelicità, come quando soffrivo per il fatto di essere innamorato. Allora, io desideravo, sognavo, lottavo; un bene prezioso era dinanzi a me, semplicemente ritardato, il suo possesso era ostacolato da alcuni contrattempi. Adesso non c'è più niente; tutto è calmo, e questo è peggio. Sebbene sia giustificato da un'economia - l'immagine muore affinché io viva -, il lutto amoroso ha sempre uno strascico; una frase viene ripetuta in continuazione: "Che peccato!". 

(Freud S., in Barthes R. Frammenti di un discorso amoroso. Einaudi, Torino. 1979).

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